La città dei recinti
Era accaduto molti anni addietro in una piccola e tranquilla
città, ma qualcuno lo ricordava ancora. Tutto era cominciato a dicembre, quando
nel giardino di una scuola materna era stata trovata una siringa, chiaro segno
che il posto veniva frequentato da drogati. Infatti ad un’analisi più accurata
vennero trovati anche una bottiglia di birra vuota e pezzi di vetro sparsi. In
pochi minuti sorse un comitato che si presentò al sindaco per protestare,
denunciando il pericolo e la mancanza delle più elementari norme igieniche e di
sicurezza. Contemporaneamente venne informata la stampa, l’USL e l’Ufficio
tecnico furono tempestati di richieste di sopralluogo e di chiarimenti sulla
sicurezza degli edifici pubblici. Al motto di “proteggiamo i cortili” i
genitori chiedevano all’Amministrazione comunale luoghi più sicuri. Pressati
dai media e dall’opinione pubblica il sindaco e la giunta attivarono esperti e
consulenti. Dopo lunghe discussioni l’equipe di specialisti elaborò l’idea di
utilizzare dei muri di recinzione. La proposta alla cittadinanza fu immediata,
la variante normativa ebbe iter abbreviato ed il successo totale, soprattutto
tra i genitori. Le prime ad essere recintate furono proprio le scuole materne,
poi, a fine marzo, le scuole elementari, ed infine anche le superiori. In quei
mesi non vennero trovati oggetti estranei, la vita anzi sembrò svolgersi più
ordinata, raccolta e pulita. Alle scuole seguirono la biblioteca, la piscina ed
i campi da gioco. Il successo fu tale che alla fine di giugno, dopo la chiusura
delle scuole, le famiglie si sentirono prive di quel senso di sicurezza che le
aveva tranquillizzate nei mesi precedenti e si presentarono in massa davanti al
municipio. Una delegazione fu ricevuta nuovamente dal sindaco, che si impegnò a
recintare nel giro di poche settimane i giardini pubblici, i parcheggi e le
aree verdi attrezzate. Gli accessi dei recinti vennero anche presidiati con
controlli alle entrate, alle uscite ed agli stessi muri, sui quali, come
chiaramente indicato nella delibera comunale, era vietato affiggere manifesti,
realizzare murales, appoggiare biciclette. Passata l’estate, con l’apertura
delle scuole si ricominciò a parlare di sicurezza. Nelle prime assemblee di
classe, di istituto, di circolo, di circoscrizione, di quartiere e di partito,
si ravvisò la necessità di rendere sicuri anche i collegamenti e di proteggere
i percorsi frequentati dai bambini. I tecnici comunali si misero all’opera e
studiarono tamponamenti di portici, passerelle sopraelevate, passaggi a tunnel
e gabbie reticolari. In seguito anche gli anziani e le categorie più deboli
cominciarono a reclamare maggiore protezione e sicurezza. Furono recintate le
banche, gli uffici postali e quelli comunali. “Il muro racchiude ma non separa,
protegge ma non isola, unifica e collega i servizi e le architetture. Il muro
aiuta”, recitava il nuovo slogan dell’amministrazione e la gente cominciava a
crederci. Così, sotto la spinta dell’opinione pubblica, si diede inizio ad un
grande progetto di revisione urbanistica. Alcune vie vennero cintate da alti
muri per i due sensi di marcia. Per il percorso che portava al duomo ed al
municipio fu realizzato un passaggio protetto da parapetti in muratura piena.
Per ultima fu recintata la piazza, chiudendone gli accessi con alti portoni fissati
su solidi pilastri: la via Garibaldi ad esempio si concludeva su due battenti
in legno borchiato di gusto medievale, fissati a due enormi colonne in pietra
locale, l’una a ridosso del Palazzo del Governatore, l’altra nelle vicinanze
della Chiesa di San Giuseppe. “Le generazioni future ci ringrazieranno!” disse
con compiacimento il sindaco in una delle tante interviste. Tuttavia i mesi
successivi furono caratterizzati dalle proteste dei residenti dei quartieri
periferici, che lamentavano la totale mancanza di attenzione verso le loro
zone, lasciate al degrado ed al malaffare. L’amministrazione comunale
intervenne con la massiccia bonifica e recinzione delle aree interessate,
seguita dalla costruzione di un parco giochi con un giardinetto fiorito e di tre
piazzette su cui vennero installate alcune fontane, un monumento ai caduti sul
lavoro e vario arredo urbano. Ultimati i lavori l’emergenza sembrava finita ed
un referendum cittadino decretò il ripristino delle antiche mura medievali, a
suggello degli interventi realizzati fino a quel momento. Autorevoli riviste
segnalarono l’idea della città che “utilizza e rimonta gli elementi della
storia per inventare nuovi spazi” o della comunità che “sembra rappresentarsi
in muri di cinta che appaiono indecisi tra il nascondere ed il far desiderare
ciò che proteggono”. Qualcuno disse che la realizzazione di quei recinti, vera
e propria ragnatela di muri, aumentava la possibilità di esplorare e
sorprendersi, altri l’esatto contrario, ma erano pochi. La vita quotidiana riprese
a scorrere tranquillamente, ma la notizia che dall’Asia si stava propagando un
pericoloso virus influenzale mise nuovamente in agitazione la cittadinanza.
Dopo riunioni e consultazioni si arrivò alla drastica soluzione di murare la
porta della città. Si decise però di realizzare il muro come fosse un grande
mosaico, elegantemente disegnato con mattoncini rustici di diverso colore. Per
i più piccoli era piacevole ammirare quell’opera minuziosa, che richiedeva una
meticolosa pazienza, e molti accorrevano per vederla progredire. Colpito da un
raggio di sole che penetrava tra le fessure, un bambino immaginò la città che
diventava trasparente, senza recinti, assaporando il piacere di correre per le
strade aperte e sfidare con lo sguardo la profondità, di entrare nel parco ed
uscirne, e poi rientrarvi più in là, potendo guardare i tronchi degli alberi e
le cortecce. Stette così per un po’, poi la posa degli ultimi mattoni lo lasciò
completamente nell’ombra.
Angelo Patania
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